Quando parliamo muoviamo le mani giusto? Ma non tutti i movimenti che facciamo sono uguali. Nel Linguaggio del Corpo esistono delle categorie e vengono elencati tre tipi di gestualità:
Gesti Illustratori
Gesti Manipolatori
Gesti Emblematici
Quali sono le differenze? Lo andiamo a vedere in questo articolo.
I gesti ILLUSTRATORI sono quelli che accompagnano il linguaggio, descrivono un oggetto, un luogo o un paesaggio. Si usano ad esempio per dare delle indicazioni: vai di là, prendi la seconda a sinistra… Ma anche quando voglio mostrare quanto più alta o bassa di me era quella cosa, o descrivere una forma.
I gesti MANIPOLATORI invece non sono collegati al linguaggio. Lasciando perdere il nome, che gli fa sembrare qualcosa di malvagio, stiamo parlando del classico mangiarsi le unghie, grattarsi la testa, incrociare le braccia. Sono azioni che compiamo senza rendercene conto, e per questo più inconsce e utili da osservare nel Linguaggio del Corpo. Un grattarsi la testa potrebbe essere un segnale di stress, ma non sempre. La cosa più importante da notare sono le differenze, come approfondiamo nell’articolo sul Linguaggio del Corpo.
I gesti EMBLEMATICI invece sono quelli per cui siamo famosi noi Italiani. Sono gesti legati al linguaggio ma culturali. Il classico gesto del: “ma che ca**o” che molti stranierei scambiano per un qualcosa legato al cibo o l’aver fame. Sono quindi gesti che hanno un significato se vivi all’interno di una determinata cultura. Lo sapevi ad esempio che gli indiani per fare sì non muovono la testa su e giù ma la ondeggiano a destra e sinistra?
Culturali
Hai più chiaro adesso quali sono i tipi di gesti? Alcuni possono avere un significato, altri no.
Magari hai sentito parlare di queste Microespressioni Facciali, da noi o da qualcun altro, e sai che è possibile capire che emozione sta provando una persona anche se cerca di nasconderlo. (Se non sai cosa sono guarda il link a questo articolo). Forse hai anche visto la serie “Lie to me”, dove il protagonista Cal Lightman aiuta l’FBI a risolvere indagini grazie alla sua capacità di leggere le espressioni altrui. Le Microespressioni sono infatti un’ottima strategia per detective, poliziotti, o chiunque debba estorcere informazioni a dei criminali o presunti tali. Tutto bello, affascinante, certo. Ma immagino che tu non faccia il Carabiniere, giusto? E che il tuo contatto con la criminalità sia tenuto a dovuta distanza. Quindi a cosa ti servono le Microespressioni? O meglio, ti servono veramente a qualcosa?
Io per primo quando più di cinque anni fa ho fatto il mio primissimo corso di Microespressioni l’ho fatto per passione. Sono sempre stato affascinato dalle storie di Detective, adoro personaggi come Sherlock Holmes, e l’idea di poter apprendere queste strategie e considerarmi un po’ più “intelligente” (o così credevo allora) era tutto quello che mi serviva per decidere di farlo. Molto spesso è stata proprio la passione e la voglia di imparare cose che gli altri non sanno fare a farmi partecipare a corsi e fare nuove esperienze. Oggi infatti oltre alle Microespressioni insegno Tecniche di Memoria, Lettura Veloce, e tutte abilità non convenzionali che vanno al di là delle cose che siamo portati a credere possibili.
Quindi io ho fatto tutto questo per passione. E ne è valsa la pena? Per me, certo che sì. Ma la realtà è che i veri benefici sono stati altri. La capacità di calibrare e di osservare che ho appreso mi è stata molto utile in questi anni. Troppo spesso mi rendo conto che molte persone attorno a me nella vita di tutti i giorni non sanno osservare. Parlano e si comportano senza sapere che reazione le loro parole stanno avendo sugli altri. Noto una persona per me palesemente tesa, che sta male, e guardando le ignare persone attorno mi sorprendo di come possa essere io l’unico a vederlo. Perché quando una strategie diventa veramente parte di te, ti dimentichi di com’era il mondo prima di averla. Come quando guardi un’illusione ottica con un’immagina nascosta dentro: all’inizio non la vedi, ma quando te ne accorgi è impossibile non notarla, non riesci a tornare alla situazione di partenza. Cavolo! Se solo avessi avuto queste strategie ai primi anni delle superiori o alle medie! Mi avrebbero permesso di capire che forse non ero così imbranato come pensavo, ma che stavo portando la mia attenzione sulle cose sbagliate, solo perché non riuscivo a vedere il resto. E cosa più importante, mi ha insegnato ad ascoltare me stesso. A sentire i muscoli e le espressioni sul mio corpo. Ad essere meno teso, più rilassato, più sicuro, e prendere decisioni migliori. A rendermi conto di come stavo.
Ad essere meno teso, più rilassato, più sicuro, e prendere decisioni migliori. A rendermi conto di come stavo.
Ho quindi deciso di insegnare queste cose. Perché mi piace, perché è una passione, ma anche per i risultati che portano. Avvocati hanno imparato a comprendere meglio i loro clienti. Life Coach o psicologi hanno saputo affinare le loro abilità nel percepire un cambiamento. Insegnati hanno saputo gestire meglio la classe, e magari qualche studente passare un’interrogazione o un esame. Recentemente ho insegnato queste strategie ad una mamma per capire meglio suo figlio piccolo.
Quindi le Microespressioni servono veramente? Per me sono essenziali. A me questo corso ha cambiato la vita. E anche se sembra autopromozione, mi sembrava giusto dirvelo.
I contatti con le persone sono ridotti al minimo, lo sappiamo, e siccome al momento tutti indossano la mascherina, per fortuna non anche a casa, non è sempre così facile capire che emozioni stanno provando le altre persone, giusto? Potresti incontrare una commessa infastidita, un passante felice, un collega triste, o un vicino. Effettivamente la lista finisce qui, perché non hai molti altri posti in cui andare, e quindi persone da vedere… Se non la polizia che ti ferma per chiederti la certificazione, e sapere cosa sta provando potrebbe essere molto utile. Ma andiamo avanti.
Solitamente
per esprimere le nostre emozioni facciamo uso di tutta la faccia, e quando sparisce dalla nostra vista una parte
fondamentale come quella della bocca, potremmo sentirci un po’ persi.
Ma vi svelo
un segreto, tutto quello che dovete guardare sta negli occhi.
Siamo portati a pensare che se una persona è felice sorrida, ma anche una persona che si finge felice può sorridere, no? Quando una persona è veramente felice, forma ai lati degli occhi quelle che vengono chiamate zampe di gallina. Sono delle rughe dovute all’innalzamento dello zigomo. Quindi quello che devi controllare è: ci sono o no le rughe? Non hai bisogno della bocca. Inoltre la mascherina stessa tenderà ad alzarsi, proprio per l’innalzamento degli zigomi, che in questo modo sono anche più facili da notare.
Capire le emozioni: occhi felici
Parliamo
invece di una persona arrabbiata. Ci
sono tanti modi per mostrare rabbia, ma uno di quelli che riguarda gli occhi,
prevede che gli angoliinterni delle sopracciglia si avvicinino,
facendo il classico sguardo da cattivo. Ci sarà anche una tensione sotto l’occhio
e l’impressione che gli occhi siano più grandi, dovuto alla sclera che si
allarga.
Capire le emozioni: Qualche faccia arrabbiata. Soprattutto il ragazzo.
E per le persone tristi? In loro gli occhi non possono darci nessun indizio, a meno che non siano lucidi, ma non è un fattore su cui fare affidamento certo. Per la tristezza dobbiamo fare molta attenzione alle sopracciglia. Le sopracciglia di una persona triste, tenderanno a convergere verso l’alto formando una specie di triangolo immaginario.
Capire le emozioni: Sopracciglia tristi
Ti sei mai reso conto di tutti questi dettagli? Quindi, la prossima volta che incontri qualcuno, cerca di mantenere le distanze di sicurezza, ma approfittane per fare un po’ di esercizio.
Negli ultimi decenni il progresso tecnologico ha subito
un’impennata a cui la storia dell’umanità non aveva mai assistito prima. Ed in
particolare, a differenza ad esempio delle grandi rivoluzioni agricole ed industriali
del passato, queste non riguardano solo il settore produttivo, ma coinvolgono
massivamente la quotidianità di tutti i cittadini, specialmente di quelli che
attraversano l’adolescenza, un “periodo critico” dello sviluppo del cervello
umano.
Oggi dunque moltissime cose che fino ad un paio di decenni
fa sembravano fantascientifiche, sono perfettamente normali e ben integrate
negli usi comuni dell’ultima generazione.
È ben risaputo, ma è sempre bene ricordarlo, che il nostro
cervello è dotato di una straordinaria capacità plastica, che gli
permette, tra le altre cose, di trasformarsi ad adattarsi molto velocemente in
base agli stimoli esterni che riceve: sicuramente se dovessimo analizzare la
struttura di un quattordicenne del 2020 e confrontarlo con un cervello ibernato
di un quattordicenne del 1990, troveremmo delle importanti differenze
strutturali.
Ma a livello prettamente pragmatico, quali sono le
differenze di abilità che stiamo riscontrando nelle persone, dai
giovanissimi ai più “stagionati”, negli ultimi anni? Andiamo a scoprirne
qualcuna:
MEMORIA A MEDIO/LUNGO TERMINE
Partiamo da
un presupposto: il nostro cervello tende a non sprecare energie per cose
inutili.
Quindi tutte
quelle conoscenze o abilità che non vengono utilizzate per un certo periodo di
tempo tendono a sparire o a non svilupparsi in maniera soddisfacente.
Detto ciò ti chiedo: in quanti ambiti della vita, con le
tecnologie di cui disponiamo e con la loro accessibilità estremamente semplice
e veloce, potremmo al giorno d’oggi fare a meno della nostra memoria?
Quali sono quei tipi di informazioni che stanno molto più frequentemente dentro
un microchip che all’interno della nostra memoria? Dai la tua risposta a queste
domande e scoprirai per quali informazioni la tua memorizzazione risulta più
deficitaria.
ATTENZIONE
Immaginiamo
di fare un esperimento: prendiamo un criceto, che chiameremo Johnny, e lo
mettiamo in una gabbia vuota assieme ad un altro criceto che chiameremo Leonard
e che ha sempre vissuto lì. Johnny, il criceto appena arrivato, ha vissuto il
resto della sua precedente vita in una gabbietta molto più grande e piena di
stimoli in continua evoluzione: giochi, ruote, colori, luci, musica, altri
criceti, cibi sempre nuovi e variegati. Che cosa succederà secondo voi?
Beh, ammetto
di non aver mai condotto un simile esperimento ma credo che sia abbastanza
intuibile che il criceto Leonard sarà ormai abituato a ricevere pochi stimoli e
quindi vivrà più serenamente la propria permanenza nella sua grigia gabbietta; Johnny,
invece, abituato ad una vita da Luna Park, presto si annoierà e molto
probabilmente inizierà ad essere irrequieto nel suo nuovo esiguo alloggio.
Una cosa del
genere succede anche ad un cervello umano. E cosa c’entra la tecnologia in
tutto ciò?
Pensate a
quanti stimoli è sottoposto abitualmente un cervello ai giorni nostri;
specialmente quello di un bambino/ragazzo o di un adulto che fa abbondante uso
di smartphone o computer. Tutto questo bombardamento sensoriale ha
portato mediamente i nostri cervelli a lavorare ad una frequenza molto alta
per rispondere adeguatamente agli stimoli che riceve. E cosa succede quando
invece la quantità di stimoli si riduce? Semplicemente ci annoiamo, oppure,
come il criceto Johnny, diventiamo irrequieti nel tentativo di fornire al
nostro cervello una stimolazione più consistente. La soglia media per
cui il nostro cervello riesce a rimanere attento su un compito specifico,
ovvero la quantità e varietà di stimoli che questo singolo compito deve fornire
per evitare che il cervello si annoi, è notevolmente aumentata negli ultimi
decenni. Questo spiega la crescita esponenziale del fenomeno dell’iperattività
o difficoltà di attenzione, specialmente in ambiente scolastico, dove viene
fornita una stimolazione pressoché identica a quella di 30 anni fa ad un gruppo
di cervelli che hanno però una soglia di attenzione molto più alta.
Ora, la mia domanda è la seguente: vuoi davvero che i tuoi
ricordi, le tue abilità di calcolo, di orientamento e la tua possibilità di
svagarti e combattere la noia dipendano esclusivamente dai dispositivi che
tieni in mano o sulla scrivania?
Se la tua
risposta è no, ecco cosa puoi fare: affidati a te stesso!
Quando
qualcuno ti dice il proprio numero di telefono, non salvarlo in rubrica, magari
se si tratta di una cosa importante scrivilo e riponilo in un posto in cui non
sia così immediato recuperarlo, in modo che poi risulti meno faticoso impararlo
a memoria piuttosto che andarlo a riprendere ogni volta. Oppure quando fai la
spesa non portarti dietro la lista, scrivine una a casa e tenta di
memorizzarla. Le prime volte dimenticherai di prendere le carote? La tua
abbronzatura potrebbe risentirne ma alla lunga il tuo cervello ti ringrazierà. E
scoprirai che ci si mette molto meno tempo a fare la spesa con la lista ben
chiara in mente anziché scritta su un foglietto.
E per quanto riguarda l’attenzione e la noia? Sii creativo,
inventati un’attività coinvolgente che non richieda l’uso di null’altro che la
tua mente, o personalizza con un tocco di fantasia le attività che più ti
annoiano.
Immaginazione
Alla fine ricorda che la tecnologia più avanzata tuttora
in circolazione si trova nella tua testa; possedere l’ultimo modello dello
smartphone più innovativo al mondo significa essere al passo coi tempi,
perfezionare il tuo cervello significa essere un passo avanti.
Una Mircoespressione può durare anche un 1/5 di secondo, 0,25 ms.
Quando si
parla di Microespressioni, stiamo parlando di emozioni visibili sul volto di
una persona per frazioni di secondo. Una Mircoespressione può durare anche un 1/5 di secondo, 0,25 ms.
Come faccio
quindi a notare una cosa così veloce?
Beh, con
l’allenamento, e sapendo cosa cercare. Lo
psicologo Paul Ekman ha dimostrato che, contrariamente alla
convinzione precedente di alcuni antropologi, le espressioni facciali e le
emozioni non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle sue tradizioni,
ma sono universali ed uguali per tutto il mondo, indicando il
fatto che sono di origine biologica. Nel 1972, seguendo una tribù
isolata dal mondo in Papua Nuova Guinea, scoprì 7 emozioni universali,
ovvero espresse allo stesso modo da tutti gli esseri umani del pianeta:
– Rabbia
– Disgusto
– Tristezza
– Felicità
– Disprezzo
– Sorpresa
– Paura
Microespressione di Rabba
Ognuna di queste espressioni
muove dei specifici muscoli del nostro viso che sono gli stessi per tutti,
che tu viva in Italia, in Africa o in Giappone. Le Microespressioni infatti
vengono definite con un acronimo chiamato: “U.S.I”, che significa:
Universali: perché presenti in tutte le popolazioni del mondo.
Spontanee: perché avvengono sempre, che tu lo voglia o no.
Innate: perché presenti tutte fin dalla nascita, ad eccezione del Disprezzo.
Il Disprezzo infatti si basa sul sistema valoriale della persona, del giudizio
si cosa è giusto e di cosa è sbagliato, e i bambini piccoli non l’hanno ancora
sviluppato.
Un ultima cosa, se vuoi imparare altre microespressioni facciali ti consiglio di seguire il nostro canale YouTube dedicato. Lì troverai veramente tante info utili.